L’ovodonazione e la costruzione del rapporto madre-figlio
L’ovodonazione è una forma di fecondazione assistita eterologa, in cui l’ovocita viene donato da una donna giovane, sana e con alti livelli di fertilità. Questa tecnica ha un’alta percentuale di successo ma spesso spaventa la donna ricevente, che teme di non riuscire a costruire un rapporto forte ed intimo con un bambino con cui non ha un legame genetico.
Sono molte le cause che rendono difficoltoso il concepimento di un bambino. Parte di queste dipendono da deficit ovarici, dovuti all’età avanzata della donna, a malattie ereditarie o anche ad interventi chirurgici.
Se le ovaie perdono la capacità di produrre ovociti sani l’unica possibilità per una gravidanza è l’ovodonazione. Una tecnica di fecondazione assistita eterologa basata sulla donazione di ovociti da una donna ad un’altra.
L’ovodonazione si suddivide in tre fasi:
- Inizialmente la donatrice viene sottoposta a stimolazione ovarica. Mentre il ciclo mestruale della donna ricevente viene sincronizzato a quello della donatrice, in modo da preparare l’endometrio a ricevere gli embrioni.
- Gli ovociti portati a maturazione vengono raccolti e fecondati in vitro.
- Gli embrioni ottenuti vengono trasferiti nell’utero della ricevente.
In realtà esistono due tipi di ovodonazione: la piena e la condivisa.
Nella prima, detta full-egg, la donatrice è una donna giovane, tra i 20 e i 30 anni, con ottimi livelli di fertilità. Questa donna si sottopone a un ciclo di fecondazione assistita e poi cede gli ovociti a una o più donne riceventi.
Nella seconda, detta egg sharing, una donna che ha difficoltà a concepire si sottopone al trattamento in vista di una fecondazione in vitro, e cede soltanto gli ovociti in soprannumero. In realtà questa seconda tecnica non garantisce un’alta percentuale di successo, poiché ad essere donati sono ovociti appartenenti a donne che, di per sé, hanno problemi di fertilità.
In Europa l’ovodonazione è regolamentata dalle leggi sulla fecondazione assistita. In alcuni paesi, come in Italia e in Germania, è proibita del tutto. In altri è consentito soltanto l’egg sharing, come in Danimarca. Questa rigidità ha contribuito al fenomeno del turismo riproduttivo verso i paesi con leggi meno restrittive, come Spagna, Grecia o Regno Unito.
L’ovodonazione full-egg ha un’ottima percentuale di riuscita ma spesso è vista con un certo pregiudizio, in particolare da parte della futura madre che teme di fungere da semplice “incubatrice” e di non riuscire a costruire un rapporto vero con il bambino. Bambino che, lo ricordiamo, viene ad ereditare il 50% del patrimonio genetico del padre, che ha fecondato gli ovociti con i propri spermatozoi, ed il 50% della donatrice. Bambino che, dunque, non ha di fatto alcun legame genetico con la madre.
È giusto ricordare però che la genetica è importante ma non è tutto.
I nove mesi della gravidanza creano un legale molto forte tra madre e figlio, il cosiddetto “grembo psichico”. Inoltre, l’embrione viene fortemente influenzato dall’ambiente biochimico ed emotivo specifico di quella gravidanza. Non è importante solo il tipo di geni che si ereditano, ma quanto e quando questi si esprimono. Per assurdo, si potrebbe arrivare a dire che lo stesso ovocita, fecondato in vitro con lo stesso spermatozoo, può dar luogo a due bambini in parte diversi a seconda della madre che riceve quell’embrione. Madre che durante la gravidanza ne influenzerà lo sviluppo tramite il regime dietetico scelto, le sue abitudini voluttuarie (fumo e alcool), lo stato d’animo, lo stress, e alcune patologie come il diabete e l’ipertensione.
A tutto ciò devono essere aggiunti anche il momento del parto e dell’allattamento: tutti aspetti essenziali perché quel bambino, seppur concepito da un uovo donato da un’altra donna, sia percepito e amato come proprio.